La NIS2 e il confine sottile tra controllo e operatività

Stiamo vedendo moltissime organizzazioni affrontare la NIS2 nello stesso modo in cui hanno affrontato altre normative: con una lista di cose da sistemare per risultare conformi. Policy da aggiornare, procedure da formalizzare, ruoli da assegnare, documentazione da preparare per eventuali verifiche. È comprensibile, perché per anni la sicurezza normativa è stata soprattutto una questione di documentabilità.

Il punto è che la NIS2 nasce in un contesto completamente diverso. Non si limita a chiedere che esistano delle regole, vuole che quelle regole funzionino quando il contesto diventa instabile. Sposta l’attenzione dalla struttura al comportamento, dalla descrizione alla capacità di risposta. In questo senso, la direttiva introduce un cambio di paradigma che molte aziende stanno sottovalutando.
La parte più delicata della NIS2 emerge dal suo presupposto di fondo, che attraversa l’intera norma. La sicurezza viene valutata sulla capacità di reagire efficacemente quando si verifica un incidente.

Quando i processi smettono di essere rassicuranti

Per molto tempo i processi di cyber risk sono stati costruiti per dare ordine. Assessment periodici, audit programmati, procedure di incident response ben strutturate sulla carta. Tutto aveva una sua coerenza interna e una sua funzione rassicurante. In un contesto relativamente stabile, questo approccio ha funzionato.
La NIS2 mette in discussione questa impostazione perché porta l’attenzione sul momento in cui i processi vengono realmente utilizzati. Non quando li rivediamo in una riunione trimestrale, ma quando dobbiamo attivarli sotto pressione. È in quel momento che emergono le fragilità: procedure che nessuno ha mai seguito integralmente, passaggi decisionali troppo lenti, dipendenze tra team che nella pratica generano attrito.
Molte organizzazioni scopriranno che i loro processi sono formalmente corretti, ma operativamente fragili. Sono stati pensati per funzionare in condizioni ideali, non in scenari di stress reale. La NIS2 non crea questa fragilità, ma la rende visibile. E una fragilità visibile diventa un rischio che non può più essere ignorato.

Il Referente CSIRT come snodo reale del rischio

È in questo contesto che il ruolo del Referente CSIRT assume un significato che va ben oltre l’adempimento normativo. Molte aziende lo stanno interpretando come una figura da nominare, un contatto da registrare, una responsabilità da assegnare formalmente. Ma il senso profondo del ruolo è un altro.

Durante un incidente reale, il Referente CSIRT si trova al centro di una convergenza complessa. Da un lato deve comprendere ciò che sta accadendo sul piano tecnico, dall’altro deve facilitare decisioni che hanno conseguenze operative, comunicative e spesso anche legali. Deve muoversi in un contesto in cui le informazioni sono incomplete, il tempo è limitato e le aspettative sono alte.
La vera questione riguarda l’effettiva capacità di questa figura di operare concretamente. In molte organizzazioni le responsabilità risultano formalmente definite, mentre le deleghe operative rimangono poco chiare. Le decisioni tendono così a risalire la gerarchia proprio nei momenti in cui il tempo diventa una risorsa critica. Il risultato è una catena decisionale più lenta, con maggiore incertezza e un impatto dell’incidente che si amplifica.
La NIS2 rende questa dinamica osservabile, chiede implicitamente che esista un punto di sintesi, qualcuno che possa coordinare e orientare l’azione. Dove questo ruolo è chiaro e integrato nei processi aziendali, la risposta tende a essere più rapida e coerente. Dove è solo formale, diventa un punto di frizione. In questo senso, il Referente CSIRT è uno degli indicatori più affidabili della maturità reale di un’organizzazione nella gestione del cyber risk.

La dimensione organizzativa dell’incidente

Un altro aspetto che la NIS2 porta in primo piano è la dimensione organizzativa dell’incidente. Troppo spesso gli incidenti vengono ancora pensati come eventi prevalentemente tecnici. In realtà, la componente tecnica è solo una parte del problema.
Quando un incidente è in corso, entrano in gioco dinamiche organizzative complesse. Chi comunica con chi? Quali informazioni vengono condivise e con quale livello di dettaglio? Chi decide se isolare un sistema critico accettando un’interruzione del servizio? Chi valuta il momento in cui informare clienti, partner o autorità?
Queste decisioni non possono essere prese solo sulla base di procedure scritte. Richiedono chiarezza di ruoli, fiducia nei processi e una visione condivisa delle priorità. La NIS2, spingendo sulla gestione dell’incidente come processo osservabile, costringe le aziende a confrontarsi con questa dimensione spesso trascurata.

Decisione
Chi deve essere immediatamente coinvolto
Cosa serve
Isolare un sistema critico
IT + Security + Business owner
Criteri di priorità, impatti accettabili
Comunicare all’esterno
Legal + CSIRT/CISO
Messaggi pre-allineati, canali
Notifiche/autorità (NIS2)
Referente CSIRT + Legal + Direzione
Ruoli, tempi, informazioni minime
Ripristino e continuità
IT + Business + Security
Sequenza di recovery, dipendenze

Le conseguenze silenziose della NIS2

Le sanzioni previste dalla NIS2 esistono e vanno prese sul serio. Sarebbe un errore trattarle come un dettaglio o come un’eventualità remota, perché la direttiva rende più esplicite responsabilità e aspettative, e riduce lo spazio per zone grigie. Detto questo, fermarsi alla logica “multa sì/multa no” significa leggere solo una parte della storia.
Le assicurazioni, che dovrebbero tutelare e intervenire in caso di incidente, stanno diventando sempre più attente alla capacità reale di gestione del rischio. Non basta dichiarare l’esistenza di un programma di sicurezza; serve dimostrare che quel programma è operativo. Gli audit di terza parte stanno cambiando tono, concentrandosi meno sulla presenza di documenti e più sulla loro applicabilità. I partner critici iniziano a valutare la resilienza come prerequisito per continuare una relazione.
In questo contesto, la conformità formale perde valore se non è accompagnata da una capacità dimostrabile. Il rischio non è una sanzione amministrativa, ma la perdita di fiducia. Ed è una perdita che si traduce in costi più alti, opportunità mancate, relazioni commerciali più fragili.

Il momento in cui tutto diventa evidente

Il rischio più grande che la NIS2 porta con sé è che molte organizzazioni scoprano la distanza tra ciò che pensavano di controllare e ciò che controllano davvero nel momento peggiore possibile. Durante un incidente, quando non c’è tempo per rivedere processi, chiarire ruoli o migliorare la visibilità.
In quei momenti emergono tutte le ambiguità accumulate nel tempo. Processi mai testati, responsabilità sovrapposte, dipendenze non mappate. La difficoltà diventa cognitiva: capire cosa sta succedendo e cosa fare mentre l’evento evolve.
La NIS2 non elimina questo rischio, ma lo rende più evidente e meno giustificabile. Dopo un incidente, non basterà dimostrare che una procedura esisteva. Verrà osservato se quella procedura ha aiutato o ostacolato la risposta.

La NIS2 come prova di realtà

La NIS2 non è una norma da “superare” come un esame. È piuttosto una prova di realtà. Chiede alle organizzazioni di misurarsi con la propria capacità di gestire il rischio nel tempo, andando oltre la semplice descrizione formale nei documenti. Sposta l’attenzione verso una sicurezza che deve poter essere messa in pratica, esercitata, verificata nei fatti. Quella che spesso viene percepita come la parte più complessa della NIS2 richiede soprattutto comprensione. È un invito a rivedere il modo in cui si interpreta la sicurezza, superando l’equazione tra controllo formale e capacità effettiva di risposta agli incidenti. Documentare resta necessario, ma non è sufficiente se non è accompagnato da processi e decisioni realmente attivabili nei momenti critici.
Le organizzazioni che riusciranno a colmare questa distanza andranno oltre il rispetto di un obbligo normativo. Avranno costruito strutture decisionali più chiare, responsabilità realmente operative e una maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella gestione del rischio. In questo scenario, la conformità diventa una conseguenza naturale di un sistema che funziona, non il suo fine ultimo. Il risultato è un’azienda più resiliente e più credibile agli occhi di clienti, partner e autorità, capace di operare con maggiore consapevolezza in un contesto in cui il cyber risk rappresenta una variabile strutturale e permanente del business.

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