Il rischio informatico nel retail è sottovalutato: ecco come cambiare approccio

Fuori tutto, anche i dati?

Il lato nascosto dell’esposizione digitale nel retail

Il settore retail, per sua natura, è fortemente connesso a un vasto pubblico eterogeneo e fortemente esposto attraverso numerosi canali digitali, come il sito e-commerce, i sistemi di pagamento, fidelity card e varie app per clienti e dipendenti.

Tutti strumenti fondamentali per far funzionare l’azienda, ma anche se non adeguatamente protetti potenziali punti d’ingresso per chi vuole colpire.

Il problema è che spesso questi sistemi sono gestiti da team diversi, con livelli di attenzione, controllo e aggiornamento molto variabili. Così può bastare un’app dimenticata, una regola firewall mai rivista, o un accesso lasciato attivo per errore dopo l’uscita di un dipendente, per spalancare la porta a possibili attacchi.

Pensiamo, ad esempio, alla “Signora Pina”, addetta di lungo corso in un punto vendita. Ogni giorno usa un’app interna per gestire i punti delle fidelity card: semplice, veloce, comoda. Ma quell’app, sviluppata anni prima da un fornitore ormai irreperibile, non è mai stata aggiornata. Un giorno, proprio attraverso quella breccia dimenticata, un malintenzionato entra nei sistemi centrali. In poche ore, dati personali di migliaia di clienti vengono scaricati, tra cui preferenze di acquisto, email, e dettagli sensibili. L’incidente si propaga fino al CRM e ad altri sistemi, compromettendo non solo la sicurezza dell’azienda, ma anche la fiducia di migliaia di clienti affezionati.

Una filiera sempre più esposta, una sicurezza che non basta più

Il retail moderno si basa su un ecosistema complesso, con tecnologie diverse, sistemi esterni, fornitori, applicazioni in cloud e piattaforme e-commerce che comunicano tra loro in tempo reale. Questa interconnessione rende tutto più veloce ed efficiente, ma anche più vulnerabile. Basta, ad esempio, che un solo fornitore abbia una configurazione errata su un server, o un accesso mal gestito su una piattaforma condivisa, per aprire una falla capace di mettere a rischio l’intero perimetro di una grande catena retail.

Il problema è che molte aziende si sentono protette solo perché utilizzano strumenti base come firewall, antivirus o autenticazione a due fattori. Strumenti certamente utili, ma che da soli non bastano più.

Oggi, per difendere davvero i propri sistemi, è indispensabile sapere con precisione cosa c’è nella propria infrastruttura digitale: quali asset sono presenti (server, database, applicazioni), come sono collegati tra loro, quali dati si scambiano e quali dipendono da servizi esterni.
Senza questa visibilità completa, qualsiasi analisi del rischio sarà sempre parziale – e quindi inefficace.

Serve uno sguardo d’insieme, non un’altra toppa

Di fronte a questi rischi, la reazione più comune è quella di correre ai ripari con soluzioni spot: un aggiornamento urgente, un firewall rafforzato, una formazione lampo al personale.
Ma il retail di oggi è troppo interconnesso e dinamico per essere protetto con interventi a compartimenti stagni.

Non basta sapere quali sistemi dovrebbero essere in rete. Bisogna sapere cosa c’è davvero, in tempo reale, con la certezza che nulla venga trascurato.
Perché spesso, i problemi non nascono dai sistemi centrali, ma dai dettagli: un’app vecchia, un’impostazione lasciata lì per errore, un accesso rimasto aperto troppo a lungo.

Per affrontare tutto questo serve un cambio di approccio. Non uno strumento che si limiti a elencare vulnerabilità, ma una tecnologia capace di offrire una visione completa e integrata dell’intera infrastruttura. Che colleghi tra loro asset, processi e connessioni, e lavori in sottofondo senza interrompere nulla.
Una tecnologia che ti dica, in ogni momento, dove sei esposto e cosa potrebbe accadere se qualcosa andasse storto.

Come cambiare davvero approccio alla sicurezza

Affrontare il rischio informatico nel retail non significa aggiungere una nuova tecnologia o aggiornare l’antivirus. Significa cambiare mentalità.
Non si tratta più di gestire la sicurezza come un progetto da fare una volta all’anno, ma come un’attività continua, integrata nella gestione quotidiana dell’infrastruttura e dei processi.

Ecco da dove iniziare, in modo semplice ma concreto:

  • Conoscere davvero cosa si ha in casa
    Non basta sapere quanti server o PC ci sono. Serve una visione aggiornata e completa degli asset: hardware, software, processi, applicazioni e soprattutto le interazioni tra i vari sistemi. Troppo spesso si scoprono falle partendo da componenti dimenticati, applicazioni fuori uso o accessi lasciati attivi per errore.
  • Controllare anche chi è fuori, ma lavora dentro
    I fornitori esterni, le piattaforme in cloud, i sistemi di pagamento, i software gestionali usati da terzi: fanno tutti parte della filiera digitale e, quindi, della tua esposizione al rischio. È fondamentale avere visibilità anche su questi elementi, con audit regolari e una governance estesa.
  • Simulare per non farsi trovare impreparati
    Sapere come un attacco potrebbe muoversi lungo l’infrastruttura, quali sistemi colpirebbe, quanto impatterebbe sui processi di business, fa la differenza tra subire un danno e riuscire a contenerlo. La simulazione di scenari realistici è uno strumento essenziale, non un optional.
  • Governare il rischio in modo continuo, non a intermittenza
    Ogni volta che cambia qualcosa – un nuovo fornitore, una nuova app, una modifica alle policy – il profilo di rischio cambia. E va rivalutato. Pensare di fare tutto con una verifica annuale è come controllare una barca solo prima di partire, ignorando quello che succede in mare aperto.

Il cambiamento non è tanto tecnologico, quanto operativo e culturale. Serve consapevolezza, strumenti adatti e la volontà di non lasciare zone d’ombra. Perché oggi la vera sicurezza non è quella che si promette sulla carta, ma quella che si costruisce ogni giorno, con metodo e visione.

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